L’impressionante rito dei funerali sul Gange
Il capo dei crematori (è un collega di Claudio, il quale subito gli rivela di fare un mestiere analogo al suo) si offre gentilmente (ma poi ci chiederà la mancia) di spiegare come avviene la cerimonia. È impressionante la vista di tutti quei corpi avvolti nei sudari e circondati dai parenti. Seguiamo affascinati l'immersione del cadavere nelle acque del fiume che viene fatta dai congiunti. Il rito prevede che la bocca del morto venga aperta e che gli venga versata dentro l'acqua putrida del fiume sacro. Ipnotizzati vediamo più volte compiersi questo atto solenne e macabro.
Poi la salma viene deposta sulla pira e il fuoco inizia la purificazione prevista da questa antichissima ritualità.
Il nostro cicerone ci spiega con naturalezza che i resti del corpo vengono poi gettati nel fiume che completa la purificazione con l'abbraccio delle sue acque.
Il capo dei crematori prosegue la sua descrizione; ci spiega che sono sei le categorie di persone che sono esenti dalla cremazione. Sono gli esseri già "puri", chiamati dalla divinità, e quindi non soggetti a purificazione.
La prima categoria è quella dei bimbi (inferiori a dieci anni) che non possono avere peccato nella loro breve esistenza; la seconda è quella degli storpi e degli handicappati che hanno subito già la purificazione nascendo e vivendo nelle loro condizioni; la terza è quella dei lebbrosi, morti del loro male perché un Dio li ha uccisi personalmente e quindi gli appartengono. La quarta categoria è quella dei santoni – i guru -, puri per la loro elevazione spirituale. La quinta è quella delle donne gravide, pure per simbiosi con il bimbo che portano nel ventre. La sesta e ultima è quella di coloro che muoiono avvelenati da un cobra. Questo serpente è lo strumento di Dio che, attraverso il morso del rettile e per sue insindacabili ragioni, ha scelto quell’individuo; quindi, il defunto è puro.
«Non vengono bruciate queste persone; che succede allora?»
Pronta la risposta del capo dei crematori: i guru vengono sotterrati, gli altri buttati nel Gange (Ganga nella pronuncia locale) con una corda e un sasso attaccato al corpo. Trasecoliamo. Il fiume sacro fa inorridire chi, come noi, non è pervaso da misticismo. L’avere scoperto che le sue acque accolgono le ceneri dei defunti e i loro miseri resti (forse oggi non interi cadaveri con il sasso, ma non giurerei che ciò non avvenga più) ci obbliga a guardare con sospetto e apprensione il grande Gange. Eppure mi sento invadere da un senso di rispetto, come se l’oscura massa liquida che fluisce trasmettesse una solennità e una sacralità atavica. Penso alle centinaia di generazioni umane che in queste acque hanno visto il veicolo per congiungersi a una dimensione sovrannaturale e percepisco questa sacralità come un fluido misterioso che incute soggezione. Capisco che anche i miei compagni sono pervasi da un sentimento simile al mio; lo spirito goliardico e scanzonato che ci ha accompagnati fin ora è accantonato. Siamo silenziosi e immersi nei pensieri. Silenziosi accettiamo i lumini che una ragazzina ci porge e silenziosi compiamo il gesto antico di affidare quei tenui fuochi all’oscurità delle acque che li trascinano via, insieme a quelli di altre decine di persone.
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