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La migliore venditrice di tutta la Cina

Dopo qualche minuto, si presenta la “dimostratrice”. È una ragazza non particolarmente carina, ma dall’aria energica e grintosa. Ci saluta con garbo e sfoggia subito un ottimo inglese, non a livello di Lil, ma corretto ed efficace.
Con un breve preambolo ci spiega che è lì per illustrarci le caratteristiche di ben cinque diverse qualità di tè. Sono tutte produzioni cinesi, dice con orgoglio, e ci descrive minuziosamente le regioni di provenienza (non saprei ripeterle), il tipo di coltivazione e altre informazioni di carattere generale.
Passa a dimostrare praticamente la bontà del primo tipo. Si muove con sicurezza e trasuda professionalità collaudata in mille esibizioni analoghe a quella che sta eseguendo per noi. Afferra un filtro in ferro e lo riempie di foglioline sminuzzate di tè rossastro, prelevandole da un vasetto davanti a lei. Non smette un attimo di descrivere le qualità del prodotto: tè “tal dei tali” indicato per la digestione, favorisce il processo metabolico, eccetera, eccetera, eccetera.
Mentre parla senza interrompersi, solleva un bricchetto pieno di acqua bollente dal fornelletto in cui è appoggiato. Regge con una mano il filtro ripieno di tè, e vi cola dentro un flusso d’acqua dal bricchetto, stranamente tenendolo alto circa trenta centimetri rispetto al filtro. A sua volta il filtro è al di sopra di un piccolo recipiente nel quale si riversa il liquido. Impreziosito nel passaggio sulle foglioline, è diventato tè. Perché tenga il bricchetto così in alto rispetto al filtro non mi è chiaro. Potrebbe essere qualche misteriosa ragione tecnica o, semplicemente, perché il gesto è scenografico, come il pizzaiolo che fa volteggiare la pasta della pizza lanciandola in aria: non serve a nulla, ma fa spettacolo. Propendo per questa ipotesi; non chiedo spiegazioni e guardo affascinato, con i quattro compagni, il seguito dello show.
La ragazza accantona il filtro, rimette il bricchetto sul fornello, solleva il contenitore con il tè che ha preparato e lo versa con la cura e la grazia di una geisha giapponese in una minuscola tazzina, più piccola di quella che noi usiamo per il nostro espresso e, a differenza di quella, senza manico.
Con la devozione che un enologo metterebbe nell’assaggiare un barolo di annata, la dimostratrice assapora un sorso infinitesimale del tè e lo rotea in bocca con aggraziata competenza. Assentendo a se stessa con aria compiaciuta, ne versa una piccola quantità per ciascuno di noi in una tazzina analoga alla sua.
Carlo la ferma con cortese, ma virile decisione. Ha dichiarato in precedenza che a lui il tè proprio non garba e non si presta ad assaggi di sorta. La ragazza sorride compassionevole verso lo sventurato - non sa cosa perde - e si dedica a scrutare la reazione di noi altri quattro. Ciascuno di noi è impegnatissimo a non ridere e a mostrarsi compunto nell’assaggio, almeno quanto la professionista lo è stata nella preparazione.
A me quel sapore di tè senza zucchero continua a non piacere, ma mi sforzo di imitare la ragazza e roteo il sorsetto che ho in bocca, facendo in modo che nessuna delle papille gustative nella lingua e nelle mucose accessorie sfugga all’ingrato compito che le è richiesto. Mi soffermo sulle espressioni di Angelo, Graziano e Luciano. Mi ricordano altrettante vecchie lady inglesi alle cinque del pomeriggio: ne hanno la stessa solenne serietà, nonostante siano ridicolissimi nel roteare il liquido in bocca come se fosse grappa pregiata. Immagino che anch’io debba essere ai loro occhi altrettanto buffo.
La ragazza si avvia a concludere questo primo assaggio, chiedendoci se percepiamo un retrogusto di non so bene quale sapore, mi pare rosa o qualcosa del genere. Assentiamo tutti con convinzione (persino Carletto suggestionato) e la ragazza, appagata, prosegue.
La cerimonia si ripete identica con un altro tipo di fogliolina. Il filtro, il bricchetto, i trenta centimetri da cui fare piovere l’acqua, il tè versato nel contenitore e da qui nella chicchera per il primo severo assaggio della “teista” (se l’esperto di vini è detto “enologo”, mi viene il sospetto che questa ineguagliabile professionista debba essere definita “tèologa”; mi informerò con qualche linguista).
Forse perché ritiene che i cinque allievi (includiamo anche Carlo, va’) siano promettenti, introduce una variante che è un autentico coup de théâtre. Dopo avere roteato in bocca il sorsetto di bevanda, ne ingoia platealmente una parte, trattenendone pochissima in bocca. Atteggia le labbra in modo adeguato e si produce in un verso che ci lascia basiti. È come quando si vuole chiamare un gatto. Chi non l’ha mai fatto? Si appoggia la lingua al palato, appena dietro alla corona dentale e si esegue quella specie di piccolo risucchio che si trasforma in una sorta di “nci” schioccato e ripetuto ritmicamente.
Il test del “nci” evidentemente riesce alla grande, perché, dopo averlo ripetuto diverse volte, la ragazza annuisce con convinzione e versa i quantitativi per noi. Diligentemente trascura Carlo, ma credo che questa volta l’amico abbia qualche rimpianto.
Noi non ci lasciamo sfuggire la ghiotta occasione e, ingollato il nostro sorsetto, ci esibiamo in un concerto di “nci, nci, nci” da fare accorrere tutti i felini di Pechino. Strafacciamo: ognuno di noi guarda l’altro, muovendo la testa in ampi gesti di assenso come a significare: «ma senti che meraviglia questo tè!». Vedere Luciano protendere le labbra, teatralizzando il gesto e proseguendo compunto a simulare una degustazione di altissimo livello, è di una comicità irresistibile; fatico a non ridere. Per controllarmi ricorro a un’altra serie di irreprensibili “nci, nci, nci”.
Senza sostanziali variazioni sul tema, la degustazione si ripete per le rimanenti tre qualità di tè e la ragazza alla fine riscuote un eclatante successo: persino Carlo chiede di assaggiare l’ultimo dei campioni.
Rimane da capire il ruolo del bamboccio dal pistolino in evidenza. Domando alla ragazza cosa serva (il bamboccio, non il pistolino) e quella mi guarda con l’aria che una maestrina riserverebbe a un Pierino un po’ discolo.
Accondiscende. Prende il bamboccio, lo appoggia in un piattino contenente un piccolo strato d’acqua e pochi secondi dopo si vede uno spruzzetto uscire dal pistolino. Non so bene quale sia il trucco. Immagino sia un fenomeno di assorbimento da parte del materiale di cui è fatto il bamboccetto. Ridiamo divertiti e la ragazza pone fine alla dimostrazione.
Fine della dimostrazione, ma non della visita. La stessa perfetta professionista ci guida gentilmente nella grande sala in cui siamo transitati all’inizio e si arresta davanti a uno scaffale su cui fanno bella mostra scatole eleganti e coloratissime delle dimensioni di un nostro panettone confezionato. La dimostratrice, indossati i panni di venditrice, ci spiega che lì troveremo un assortimento di tutte le qualità di tè che abbiamo sperimentato e che ci è piaciuto tantissimo. Come potremmo negarlo? Mi sorride allusiva: troveremo anche un bamboccio dal pisellino spruzzante.
Con il garbo e la pacatezza delle vecchie lady inglesi le spieghiamo che siamo in bicicletta, che dobbiamo pedalare da Pechino a Shanghai, non vediamo come potremmo trasportare nel bagaglio le scatole con il suo tè.
Si mostra molto, molto delusa, ma non demorde. Si sposta fino a un ripiano dove ci sono scatole di dimensione ridotta rispetto alle precedenti. Con aria rassegnata ci spiega che sacrificheremo la quantità, ma almeno avremo la soddisfazione di assaggiare quelle prelibatezze anche in Italia. Perderemo l’optional del bamboccio incontinente, ma… “chi è causa del suo mal, pianga se stesso!”.
Non ci siamo capiti. Ribadiamo che siamo in bicicletta e vogliamo evitare ogni peso, ogni ingombro superfluo. Sottolineiamo con perfidia la parola superfluo.
La ragazza è palesemente contrariata, quasi offesa. Ci sposta fino a un ultimo scaffale con delle graziosissime scatolette grandi poco più di un pacchetto di sigarette. Con aria afflitta ci spiega che lì troveremo un modesto assaggio di due o tre qualità del suo prestigioso tè. Se proprio vogliamo rinunciare a tanta eccellenza, almeno potremo consolarci con quel modesto, inadeguato campioncino.
Quando, inflessibili, le facciamo segno di no e, senza ulteriori cerimonie, ci avviamo verso l’uscita, la ragazza è costernata e, potrei giurarlo, si trattiene a fatica dal piangere.
Usciamo in strada e, inguaribili goliardi, ci esibiamo mitragliando raffiche di “nci, nci, nci”, ogni volta più sonori, esasperando l’effetto comico. Non possiamo trattenerci dal ridere. E Lil dov’è? È rimasta dentro, dopo essere stata testimone silenziosa di tutta la dimostrazione e la tentata vendita.
Esce. Si avvicina e ci rimbrotta semiseria.
«Avete commesso un crimine», ci dice. «Quella ragazza è la migliore venditrice del negozio. Nessuno aveva partecipato a una sua dimostrazione senza acquistare. Mai. Ho dovuto consolarla, non riusciva a capacitarsi che non uno dei cinque italiani avesse voluto almeno la più piccola delle scatole. Le avete inferto una sconfitta e un’umiliazione terribile, poveretta!».
Anche Lil ride nel dircelo e noi, irriverenti, la subissiamo di torrenziali “nci, nci, nci”, mettendo un suggello irriguardoso al crollo della top venditrice di tè cinese.

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